Resto sempre affascinato da come una sola parola possa esprimere sentimenti e azioni di assoluta profondità e significato.
Ricordare letteralmente significa ritornare al cuore.
I ricordi sono quella parte di noi che molte volte ci mantengono in vita. Ci rifugiamo nei ricordi e, alcune volte, ci serve vivere di ricordi. Non possiamo prescindere dai ricordi. Le malattie più devastanti sono quelle che privano la persona del ricordo dell'affetto ricevuto, dell'amore donato, delle lacrime versate. Ricordare significa mantenere in vita, così come il cuore fa con ognuno di noi.
Ricordare, perciò, i nostri fratelli e sorelle defunti, vale a dire mantenerli in vita, dentro di noi. I momenti in cui si è riso o pianto insieme, l'attimo in cui i nostri sguardi si sono incrociati, le serate passate davanti alla tv a vedere una partita o a giocare, i litigi che puntualmente finivano con un abbraccio, le lunghe telefonate ad ascoltare lo sfogo dell'altro: questi e tanti altri ricordi sono i battiti che mantengono in vita, dentro il nostro cuore, il cuore di chi non c'è più. E anche se non li vediamo più con gli occhi, li ricordiamo e li teniamo davanti agli occhi del cuore, come se fosse soltanto ieri.
Non un lumino, né un fiore o un marmo bianco potranno mai sostituire il valore di un ricordo. Del ricordo nella preghiera.
Ricordiamo insieme perché siamo una famiglia.
Perché è bello ricordare da soli, ma quando si ricorda insieme diventa tutto più semplice, anche la morte. Siamo una famiglia che non ricorda con nostalgia o sofferenza, ma parla della morte con la speranza sulle labbra e con il sepolcro vuoto negli occhi. Ricordiamo insieme alla comunione dei santi, che proprio ieri abbiamo festeggiato, perché loro hanno indicato la strada ai nostri cari per tornare a casa, alla casa del Padre preparata per ciascuno di noi.
Perché la morte è solo passare dall'altra parte, nascondersi nella stanza affianco. Ma quanta paura ci fa.
La morte ci fa paura perché non la conosciamo.
Nessuno ce l'ha mai presentata. È lei che si presenta all'improvviso, come ospite inatteso, bussando alle porte delle nostre case. Da lei ci sentiamo derubati delle persone più care, degli affetti più grandi e vorremmo cacciarla via con tutte le nostre forze, ma non ci riusciamo. La morte è incomprensibile ma non è invincibile: Cristo l'ha vinta per noi una volta e per sempre. La fede ci ha dato l'arma più potente per combatterla: la speranza nella Risurrezione!
Eppure continua a farci paura perché oggi la morte è un tabù: nessuno ne parla, non portiamo più i bambini al Cimitero ma a fare "dolcetto o scherzetto", ognuno sa darti un consiglio su come migliorare la tua vita ma nessuno ti insegna a morire. Abbiamo dimenticato che alla morte si arriva vivi.
La Commemorazione dei fedeli defunti, allora, non è un'occasione solo per parlare di morte, ma per riflettere sulla vita. Sul valore che gli diamo, sul modo in cui impieghiamo il tempo a nostra disposizione, sul bene che facciamo, sull'amore che doniamo gratuitamente, sulle mani che stringiamo e sulle carezze che riceviamo. E quando arriverà la morte non sarà la fine della storia, ma l'inizio di un capitolo nuovo.
Se impariamo a vivere sarà bello per gli altri ricordarsi di noi e noi continueremo a vivere in loro. Se impariamo a vivere, sapremo anche morire.
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