Prudenza.
Tutti i testimoni che lo hanno conosciuto sono concordi nel lodare il Servo di Dio come religioso molto prudente nel parlare e nell’agire. Una testimonianza qualificata ci viene offerta dal Ministro Generale dell’Ordine, P. Bernardino da Portogruaro, che in una lettera del 1° ottobre 1886 manifesta un giudizio molto positivo su P. Adriano come Confessore delle Suore Francescane di Gemona: “… non so che altri di codesta Provincia potesse presentare, per confessore ordinario di codesto Monastero, che uguagliasse la prudenza e la pietà del P. Adriano, e che fosse di maggior soddisfazione della Comunità!”. E continua: “Io ho visitato ogni anno codesta Comunità e ho sempre interrogato ed esaminato se le Suore erano contente del Confessore, e tutte unanimi mi hanno dichiarato la loro soddisfazione, e posso dire che non ho trovato nemmeno una che non avesse in lui la fiducia necessaria a una buona confessione: tutte al contrario mi hanno lodato la sua santità, prudenza e fermezza!”.
Giustizia
Il Servo di Dio non soltanto fu un fedelissimo figlio di San Francesco, molto esigente con sé stesso a riguardo dei suoi impegni religiosi. Con gli altri fu non soltanto giusto, ma si sentiva e si faceva servitore di tutti. Anche a riguardo dell’Ordine mantenne un giusto atteggiamento di obbedienza; fu zelante nella fedeltà alla Regola e alle Costituzioni; soffriva molto quando vedeva esempi non edificanti tra i confratelli.
Fortezza
L’itinerario della sua vocazione alla vita religiosa mostra ben chiara la sua fortezza d’animo di fronte alla persecuzione religiosa delle autorità russe, scoppiata con la chiusura del convento, e nel prendere misure forti per cercare di dissuadere i religiosi di continuare nel loro cammino. Il Servo di Dio mai si tira indietro e sarà così un perpetuo esiliato pur di essere fedele alla sua vocazione divina. Fortezza mostra P. Adriano davanti alle molte infermità e dolori fisici – due volte è stato in pericolo di morte e ha ricevuto l’Unzione degli Infermi –, al freddo e alla estrema povertà. In tutto questo egli appare sempre sereno e in pace, felice di poter pregare, poter confessare e seguire fedelmente la Regola che ha professato. Dalla lettura delle semplicissime pagine che, per comando dei Superiori, scrisse sulla sua vita emerge nitida la Croce come sua compagna di viaggio, soprattutto quando i confratelli lo facevano soffrire, o si creavano divisioni all’interno della Comunità, o v’era rilassamento nella vita conventuale a riguardo della preghiera e delle relazioni fraterne. Il Sevo di Dio soffrì molto anche per il martirio della sua patria sotto il despotismo russo. Ma lui, che amava molto la sua terra, ebbe la forza di non ritornare perché il viaggio lo avrebbe costretto a lasciare l’abito religioso. Così dal 1866, quando partì per la Terra Santa, non rivide mai più nessuno della sua famiglia. Anche nelle piccole circostanze della vita quotidiana P. Adriano esercito la virtù della fortezza: sofferenza per il freddo, orari, esemplarità nell’obbedienza, umiliazioni portate con semplicità… Questo ci fa capire come la fortezza del Servo di Dio non era cosa di certi momenti eroici, ma una virtù esercitata ogni giorno nelle cose più ordinarie.
P. Adriano aveva capito fino in fondo che un cammino della santità passa per la Croce. Era molto mortificato nei sensi e la sua sobrietà e temperanza si manifestavano nelle piccole cose della vita quotidiana: “Mangiava solo quello che portavano in refettorio e anche quello tentava di mettere da parte come segno di mortificazione”, racconta un testimone. “Mai passeggiando nell’orto si permetteva di toccare un frutto o un acino d’uva, fosse durante la vendemmia e invitato dai confratelli; egli si scansava dicendo di non avere l’obbedienza”, afferma un altro testimone.
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